ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“THE WELL” DI FEDERICO ZAMPAGLIONE

Anno di produzione: 2023
Con: Lauren LaVera, Claudia Gerini, Lorenzo Renzi, Linda Zampaglione, Melanie Gaydos

Imbattersi nel 2024 in una produzione horror italiana porta inevitabilmente ad una riflessione sullo stato del genere nel nostro paese. In passato, almeno sino a metà degli anni ottanta, i thriller e gli horror erano tra i generi più frequentati dal nostro cinema. Registi e sceneggiatori davano alla luce incubi su celluloide che hanno fatto storia, fonti d’ispirazione per registi di tutto il mondo (De Palma e Tarantino tra gli altri). Freda, Mario Bava, Fulci, Argento, Soavi, Deodato, D’Amato e Lamberto Bava, erano i nomi di spicco del panorama horror nostrano. Cosa rimane oggi di tale genere? Poco. I francesi invece, soprattutto nel primo decennio degli anni duemila, sono stati in grado di partorire quella che venne chiamata “La nuova onda horror francese”. Film come “Martyrs” e “À l’intérieur”, posseggono citazioni di alcuni grandi classici, ma sono stati anche in grado di rielaborare in maniera originale gli stilemi dell’horror classico, apportando ad esso un’aura malsana inedita e potente. In Italia abbiamo avuto negli anni i film dei Manetti Bros, quelli di Strippoli e De Feo, di Albanese, di Principato, di Infascelli, di Misischia, non dimenticando le sporadiche riapparizioni nell’horror di registi come Argento con “La terza madre” e di Pupi Avati con “Il signor Diavolo”. Una menzione speciale meritano Domiziano Christopharo e Lorenzo Bianchini con le loro produzioni totalmente indipendenti.
Prodotti non sempre ben congeniati o distribuiti poco e male. Difficile quindi comprendere come mai un cinema che ci ha resi grandi nel mondo abbia oggi così tante difficoltà a rinascere. Problemi creativi? Problemi produttivi? Problemi distributivi?
Federico Zampaglione al suo quinto film, il secondo prettamente horror, “Tulpa-perdizioni mortali” era più un giallo alla Sergio Martino, parte dal gotico alla Mario Bava e alla Riccardo Freda per immergersi, con una ferocia inedita nel cinema italiano, in territori torture porn, per poi deflagrare in un delirio stregonesco che rimanda ancora a Freda, ad Argento e alla sequenza finale del “Suspiria” di Luca Guadagnino (anche se la classe registica di Guadagnino non è minimamente paragonabile a quella di Zampaglione). Ancora un film derivativo, almeno ad una visione superficiale. In realtà sotto la coltre di citazioni più o meno palesi, su cui già sono stati versati litri di inchiostro, si cela una fiaba splatter anticapitalista, che affronta il tema della paura del tempo che passa e quello della capacità dell’uomo di monetizzare qualsiasi cosa e a qualsiasi prezzo.
Lisa è una restauratrice americana. Deve riportare agli antichi splendori un dipinto in un castello nella provincia laziale. La magione è abitata da una duchessa e dalla figlia adolescente. Nel frattempo dei giovani biologi conosciuti dalla protagonista durante il viaggio per Sambuci, vengono rapiti e segregati all’interno di una stanza con un pozzo al centro.
Un castello, un dipinto, un pozzo, delle streghe, tre creature mostruose. Il sopra e il sotto, l’abisso nero in fondo al pozzo, i ricchi e i poveri, i primi che assoggettano i secondi per ottenere ciò che vogliono, i secondi costretti a diventare malvagi per sottostare al volere dei ricchi.

“Le streghe fanno il male. Nient’altro al di fuori di quello. Conoscono e praticano segreti occulti che danno il potere di agire sulla realtà e sulle persone. Ma solo in senso maligno”
(da “Suspiria” di Dario Argento)

In “The Well” la violenza è il mezzo attraverso il quale ottenere un profitto, Zampaglione ricrea così il classico schema capitalistico o feudale, del resto il dipinto risale proprio al Medioevo.
Se le streghe del “Suspiria” di Guadagnino sono femministe, politicizzate, dubbiose, quelle di Argento sono becere, brutali, basiche. In “The Well” la figura della strega/duchessa ispirata alla contessa Bathory, è sicuramente più vicina al concetto di witch argentiano. Essa sfrutta il prossimo per raggiungere i suoi scopi, il sangue umano le serve per nutrire la sua vanità. I villain nel film non sono duri e puri, sono creature costrette a compiere il male per continuare a vivere.
I primi minuti del film deludono, soprattutto a livello tecnico. La messa in scena è basica, la scelta delle location anonima, quando subentra l’orrore anche tutto l’apparato tecnico migliora.
Inizialmente l’enorme abitazione della duchessa, strapiena di libri, candelabri e quadri, e la sala con le celle e il pozzo, sembrano luoghi dislocati in posti diversi, scopriremo poi che “la stanza delle torture” è al piano inferiore della magione. Il sopra (i ricchi), il sotto (i poveri reietti da sfruttare).
Ottimo il colpo di scena finale che rimarca la forza anticapitalista del film e ribalta la figura della final girl. Quest’ultima non è esclusivamente un’eroina dal cuore d’oro che sconfigge i cattivi, del resto la protagonista è un’americana che giunge negli anni novanta nel vecchio continente. Chi più dell’America rappresenta il capitalismo sfrenato?

“Lo scopo delle streghe è ottenere vantaggi materiali e personali ma possono raggiungerli solo esclusivamente con il dolore degli altri”
(da “Suspiria” di Dario Argento)

È gore e politico Zampaglione, ed è proprio questo equilibrio tra lo splatter e un sottotesto politico che potrebbe rappresentare la rinascita del genere horror in Italia.

VOTO: 6.5

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