ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“THE GIRL WITH THE NEEDLE” DI MAGNUS VON HORN

Anno di produzione: 2023
Con: Trine Dyrholm, Vic Carmen Sonne

Tra il 1913 e il 1920 in Danimarca vennero assassinati circa venticinque bambini nati fuori dal matrimonio. Sotto compenso economico, una donna, faceva credere che questi ultimi sarebbero stati affidati a famiglie benestanti, in realtà venivano uccisi.
von Horn si concentra sugli omicidi avvenuti subito dopo la fine del primo conflitto mondiale.
Karoline è un’operaia con gravi problemi economici. Viene sfruttata, sedotta dal padrone, ingravidata e poi abbandonata. Ha un marito con il volto sfigurato a causa di un incidente avvenuto in guerra. Un giorno decide di procurarsi un aborto ma viene fermata da Dagmar che la aiuterà con il neonato. I risvolti del loro rapporto saranno violenti e indicibili. Droga, infanticidi e manipolazione psichica.
La pellicola del regista danese spinge lo spettatore ad una riflessione sull’etica e sull’estetica del film. Forma e contenuto fanno parte di un affresco sul male e sulla miseria umana.
Bianco e nero espressionista, volti deformi ripresi in primissimo piano come fossero i ritratti realizzati da Francis Bacon, la mostruosità morale non è tanto diversa da quella fisica. Campi totali, citazioni dei Fratelli Lumière, il thriller e l’horror che infettano una storia drammatica, una colonna sonora invadente e meravigliosa. Un film con una struttura narrativa classica, in grado persino di appassionare (cosa c’è di più classico dell’assestare un colpo di scena spiazzante a metà film?). von Horn non si accontenta di essere solo glaciale e distaccato come l’Haneke di “Il nastro bianco”, ma imbocca strade estetizzanti come il primo Von Trier. Un film che odora di cinema, pudico nel non scegliere una messa in scena documentaristica, come a non voler caricare ancora di più l’orrore che narra. Anche il finale apre uno spiraglio di luce in una storia nerissima.
“The girl with the needle” disquisisce sul male dal punto di vista sociologico, filosofico e psicologico. Le macerie della prima guerra mondiale avevano minato l’economia, molta forza lavoro non era tornata dal conflitto, l’incertezza economica imperava, il cibo scarseggiava. Homo homini lupus, l’essere umano in condizioni estreme compie atti estremi. Dal punto di vista filosofico, il male può essere l’assenza dell’ordine e della perfezione (nel film tutto è imperfetto, decadente: la città, le abitazioni dei personaggi, i loro vestiti…). Per Socrate il male deriva dall’ignorare il bene (Dagmar racconta di essere nata e cresciuta in povertà, di aver lavorato la terra e munto le mucche, di aver partorito in solitudine e tagliato il cordone ombelicale con i suoi stessi denti), sempre Dagmar ha una morale tutta sua, che nel monologo finale ha persino una lucidità straziante e paradossale, quindi come sostenevano Kant e Sant’Agostino, il male può nascere dalla cattiva applicazione della ragione e dalla deviazione della legge morale precostituita. Sul versante psicologico Freud dichiarava che il male è consolidato nella psiche umana.
Ancora una volta come in “April” di Dea Kulumbegashvili e in “The Substance” di Coralie Farget, vengono descritte donne mostruose perché demonizzate, rese dalla società esseri distanti e ripugnanti, costrette dal contesto sociale e dall’assenza fisica e morale degli uomini ad abbandonarsi al male. La vita è un freakshow dove la maternità mancata incrocia l’istinto materno e la sua negazione coatta.

VOTO: 8.5

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