ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“PADRE PIO” DI ABEL FERRARA

Anno di produzione: 2021
Con: Shia Labeouf, Marco Leonardi, Asia Argento

San Giovanni Rotondo anni venti. Molti uomini tornano dalle loro famiglie dopo la guerra, altri invece sono deceduti in trincea. I contadini vengono sfruttati dai signori locali, l’ideologia socialista comincia a prendere piede. Essa non è vista di buon occhio nè dalla borghesia nè dal clero. Nel frattempo un giovane frate chiamato Padre Pio è in preda a tormenti interiori e a visioni demoniache.
Dominique Strauss-Kahn, Pier Paolo Pasolini e ora Padre Pio. Abel Ferrara continua ad usare il falso biopic per ragionare su altro. Utilizza Strauss-Kahn in “Welcome to New York” per parlare di sesso e potere, Pasolini per imbastire un discorso sulla mortalità umana e sull’immortalitá dell’arte, e ora attraverso Padre Pio ragiona sull’egoismo della religione e quindi del clero e su come quest’ultimo abbia sempre avuto la tendenza a schierarsi con i più forti.
“Padre Pio” per le tematiche affrontate potrebbe sembrare quasi un’opera di Bellocchio, ma Ferrara è meno classicheggiante nella messa in scena, la sua regia è iconoclasta, con improvvisi rallenty, le musiche scarne, la macchina a mano documentaristica, i primissimi piani degli attori che sbucano dall’oscurità del piano d’insieme, il montaggio secco. La concentrazione tutta ferrariana sui corpi dei personaggi e sui loro tormenti cristologici, più che come in Bellocchio sulle loro turbe psichiche, discosta il film di Ferrara dal cinema del regista di Bobbio.
Abel Ferrara mette in secondo piano la figura del monaco, per lui è solo il pretesto per raccontare una pagina di storia italiana non molto conosciuta e per realizzare un film profondamente marxista ed anticlericale (la scelta di intitolarlo “Padre Pio” è probabilmente una mossa commerciale). La chiesa benedice i fucili che serviranno all’esercito e ai borghesi per tenere a bada i contadini, Padre Pio vive in un microcosmo tutto suo, senza alcun interesse per ciò che accade a pochi passi da lui. È rinchiuso in una cella, ha allucinazioni in cui vede una donna nuda che lo tenta e un cane famelico pronto ad aggredirlo. Ha un dialogo con la sua coscienza che lo accusa di essere un bugiardo, un vigliacco e un codardo in grado di mentire sulla sua salute pur di non andare in trincea.
Ferrara non è clemente con Pio quando attraverso la folgorante sequenza con Asia Argento (una specie di uomo/donna/demonio), ci mostra il futuro santo che gli/le rifiuta l’assoluzione, un uomo privo di pietà o carità cattolica.
La narrazione procede su due distinti piani narrativi (gli scontri tra contadini e padroni e i tormenti di Pio), Ferrara rappresenta la potenza rivoluzionaria del popolo mettendola in contrasto con l’immaterialità empirica del monaco italiano.
“Padre Pio” è un affresco visivamente caravaggesco che sa perfettamente quanto le certezze rassicuranti della religione siano fittizie. Come sempre nel cinema ferrariano regna il dubbio, il peccato e l’oscurità, la redenzione è quasi un miraggio, non esiste Dio senza il Demonio. Il bene e il male. Nel realismo terreno della situazione politica a vincere è il male, visto che i contadini verranno fucilati, mentre il bene, che per Ferrara non può che essere un delirio mistico, qualcosa di intangibile, invade Padre Pio attraverso la mano di Gesù Cristo che lo consola. Il narcisismo prosopopeico del santo è palese.

“Distacchiamoci dal mondo in cui tutto è follia e vanità”
(Padre Pio)

VOTO: 7.5

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