ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“ESTERNO NOTTE” DI MARCO BELLOCCHIO

Anno: 2022
Con: Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo

“La psicopatia implica un comportamento antisociale persistente, un’empatia e un rimorso alterati, audacia, resilienza emotiva, meschinità, impulsività e tratti egoistici. Oltre ad alcuni aspetti positivi, come l’attenzione ai dettagli, la bravura a interpretare gli altri…” (S&B)

Aldo Moro è stato un politico italiano tra i fondatori della democrazia cristiana: ossessivo compulsivo.
Giulio Andreotti è stato un politico italiano, sette volte presidente del consiglio: sociopatico.
Francesco Cossiga è stato un politico italiano, ottavo presidente della Repubblica Italiana: bipolare.

Marco Bellocchio da sempre interessato alla psicologia ritrae i politici degli anni settanta come delle maschere affette da disturbi psichici e ce li mostra alle prese con il rapimento di Aldo Moro. Partendo dal sequestro che scosse l’Italia nel 1978 il regista imbastisce un lungo racconto socio-politico-psicoanalitico che si occupa di sondare le reazioni a tale avvenimento da parte dei colleghi di Moro, dei rapitori, di papa Paolo Sesto e dei suoi famigliari. Le responsabilità private si mescolano a quelle pubbliche, la potenza della politica si fa ambigua, le immagini di repertorio irrompono nel tessuto filmico creando tanti piccoli corto circuiti, la colonna sonora di Fabio Massimo Capograsso serpeggia prepotente tra le sequenze più estranianti dell’opera. Costellato da improvvisi squarci onirici (l’episodio dedicato alla moglie di Moro è una specie di incubo claustrofobico ricco di fantasmi) “Esterno notte” possiede lo stesso limite di “Il traditore” quando sceglie di essere anche didascalico, trasformandosi in alcuni momenti in una miniserie adatta ad un vasto pubblico, soprattutto quello giovane che magari non conosce la vicenda. A differenza di svariati precedenti film di Bellocchio, il regista continua sì ad occuparsi del connubio potere/violenza, ma questa volta le origini del male non sono da ricercare nell’istituzione familiare ma nella politica, è la dimensione pubblica a minare quella privata e non viceversa. Quello di Aldo Moro è l’ennesimo ritratto bellocchiano di un uomo che ha segnato in modo indelebile la storia italiana, figura che si fa l’allegoria di un paese e di una classe politica piena di contraddizioni ed ipocrisie, dove chi esercita il potere decisionale subisce la castrazione di tale potere, inutile davanti ad un rapimento. Altrettanto ricche di sfumature sono le personalità dei brigatisti, esseri accecati dal loro credo politico, figure stoicamente dedite ai loro ideali, persone piene di dicotomie ma non sprovviste di slanci di sensibilità (i rapporti non violenti con Moro e la scelta di fargli incontrare un prete). Come in “Bella addormentata”, lì il caso Englaro, qui quello Moro, Marco Bellocchio usa un fatto realmente accaduto per creare un affresco composto da casi privati e coscienze pubbliche, dove regna l’impossibilità di un dialogo/mediazione tra idea politica e prassi parlamentare, tra chiesa e politica, tra rivoluzione e non violenza e trasforma tutto in una danza di morte.

VOTO: 7.5

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