ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“DOSTOEVSKIJ” DI FABIO E DAMIANO D’INNOCENZO

Anno di produzione: 2023
Con: Filippo Timi, Carlotta Gamba, Gabriele Montesi

“Abbiamo voluto pensare tantissimo a quello che volevamo raccontare, che era l’inverno di un essere umano, la storia di un uomo che ha il dovere e il desiderio di inseguirne un altro. Per noi era fondamentale intercettare i profumi, i sapori di un inverno senza fine e senza inizio; un inverno scarnificato, come i luoghi che abbiamo scovato. Per noi era importante che all’albero completamente secco corrispondesse un uomo che ha rinunciato a se stesso”
(Fratelli D’Innocenzo)

Enzo Vitello è un poliziotto di mezza età, vive in una casa davanti ad un fiume, sta per suicidarsi ma la chiamata del capo lo fa desistere. Un serial killer continua a uccidere in maniera brutale alcuni abitanti dei paesi limitrofi a quello in cui vive, deve continuare ad occuparsi del caso. Il killer è soprannominato Dostoevskij perché lascia sui luoghi del delitto delle lettere in cui oltre a descrivere minuziosamente l’omicidio, scrive anche disquisizioni filosofiche e nichiliste sull”orrore della vita. Enzo ha una figlia post adolescente, una squatter tossica con la quale ha un rapporto problematico. Ben presto il protagonista si farà l’incarnazione del famoso pensiero di Nietzsche che recita: “Se guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà te”, o meglio, Vitello è già quell’abisso, Vitello capisce perfettamente l’abisso del killer, quell’abisso è il suo. Buio come la morte, anzi come la vita.
Pasticche, vomito, sonde nel culo, sangue, cibo spazzatura, cadaveri, storture, brutture, l’insostenibile pesantezza dell’essere. Orfanotrofi, luoghi non luoghi, cemento, grigiore, spazi angusti, la follia serpeggia in ogni angolo della provincia come in “Twin Peaks” di Lynch. Psicofarmaci, droghe, threesome interraziali, birra, pedofilia, maschilismo, esoterismo, credenze popolari, il sibilo dei frigoriferi, il rombo degli aerei, il ronzio dei neon, l’abbaio incessante dei cani.
“L’amore non ha un senso, l’amore non ha un nome, l’amore bagna gli occhi, l’amore scalda il cuore, l’amore batte i denti, l’amore non ha ragione”. L’amore innocente di una giovane coppia e quello più maturo del capo del protagonista, ma soprattutto l’amore deflagrante tra Enzo e Ambra, sua figlia. Un amore pieno di odio, non detti, rancore, privazioni, psicopatologie assortite, mancanze e desiderio sessuale. L’amore vero.
Gus Van Sant, Dario Argento, Hitchcock, Bruno Dumont, David Lynch, Jonathan Demme, Lucio Fulci, David Fincher, i romanzi di Raymond Chandler, Antonio Moresco, la fotografia di documentazione di Walker Evans, le immagini che sembrano uscire direttamente da “Farmacia notturna”, il loro primo libro fotografico, squarci western. I fratelli D’Innocenzo strabordano, non hanno freni, non conoscono l’autocensura, arrivano dritti alla materializzazione delle loro fantasie. Si prendono la libertà di rappresentare l’apocalisse, l’inferno in terra.
“Se guardi a lungo nell’abisso, l’abbisso guarderà te”.
Gli spettatori lo guardano per 249 minuti e quell’oscuritá feroce si appiccica alla pelle, alla retina, all’anima.
C’è ancora un uomo malato, sofferente e sull’orlo della fine (mentale e fisica), al centro di un film dei D’Innocenzo, di nuovo un padre problematico, come in “Favolacce” e come nel bellissimo “America Latina” . Se nel loro penultimo film tutto era cervellotico e metaforicamente psicoanalitico, “Dostoevskij” è più terreno, è come se il cinema neorealista avesse incontrato i creatori della prima stagione di “True detective”. La scelta delle location, degli esterni e degli interni, che sono tutti luoghi non identificabili, spazi mentali, è molto simile a quella attuata in “America Latina” o in passato da autori come Marco Ferreri e Matteo Garrone.
Padri e figli. Padri assenti, violenti, piccolo borghesi e pedofili. Figli rabbiosi, spezzati, psicotici, pericolosi. La famiglia non è mai un porto sicuro per i registi.
Fabio e Damiano riescono a realizzare un crime che si muove su due binari (quello intimo e quello legato ai classici stilemi della detective story), entrambi con dei misteri da risolvere. Perché Enzo ha abbandonato la figlia quando era piccola? Riuscirà a ricucire il rapporto? Chi è l’assassino? Perché uccide? Riusciranno a catturarlo? L’equilibrio raggiunto tra i due livelli è miracoloso.
La cittá dei figli sbagliati. I figli nelle opere dei registi e in particolar modo in quest’ultima, sono sbagliati perché frutto di genitori terribili. Anaffettivi, malati, assenti, egocentrici, ignoranti, con ambizioni piccolo borghesi (come il padre interpretato da Elio Germano in “Favolacce”).

“Ai bambini andrebbe detto subito: ci siamo sbagliati a farvi, cercavamo solo qualcuno che potesse prendersi l’orrore al posto nostro”
(dal film)

Pensieri e parole dell’assassino o dell’assassina, concetti feroci, neri, asfissianti, reali. Oscar Wilde, in una delle sue opere più celebri diceva che quasi nessuno è realmente a conoscenza di quello che può succedere tra le mura domestiche. E se invece le case fossero sostituite da contenitori di bambini, gli orfanotrofi? Nel caso di “Dostoevskij” il trauma generato dai genitori deriva dalla loro non presenza, dall’abbandono.
Meravigliosamente girato in pellicola 16 mm, i D’Innocenzo continuano a fare ricerca cinematografica e non hanno paura di prendere di petto il brutto, sia esso etico che estetico.
Radicale.

VOTO: 9

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