ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“AFTER THE HUNT-DOPO LA CACCIA” DI LUCA GUADAGNINO

Anno di produzione: 2025
Con: Julia Roberts, Ayo Edebiri, Andrea Garfield, Michele Stuhlbarg, Chlöe Sevigny

In filosofia, il potere è la capacità di influenzare o controllare le azioni altrui, in modi che vanno dalla coercizione alla legittimità, dalla ricompensa al fascino.

Alma è un’insegnante di filosofia all’università di Yale. È sposata con uno psicoterapeuta verso il quale non nutre particolare interesse. È algida e impenetrabile, possiede palesi tratti narcisisti, chi le dimostra ammirazione otterrà la sua stima. La Roberts è quasi sempre ripresa in maniera da sembrare più alta così da sovrastare gli altri. Una sera una sua studentessa nera e lesbica, accusa di molestie un collega, amico ed ex amante di Alma, anche lui come quest’ultima è in attessa di ottenere la cattedra di professore ordinario. Alma si troverà così in una posizione scomoda, senza sapere a chi credere.
Il film è ambientato nel 2019, in pieno movimento MeToo ed è un calderone incandescente di tematiche attuali: i giochi di potere intrinsechi nella società, le molestie sessuali, le differenze tra i millenial e chi appartiene alla generazione Z, la verità e la menzogna, la manipolabilità delle situazioni in base alla propria convenienza, la generazione self made che per sopravvivenza e riscatto sociale accettava di scendere a compromessi e quella benestante dalla nascita, ambiziosa non per necessità o rivalsa.
Guadagnino costruisce un film che si concentra sulle ombre delle situazioni narrate e rifugge dallo schematismo di opere come “Una donna promettente” di Emerald Fennell. Non è il manifesto del politicamente corretto o ancora peggio la lista su grande schermo di ciò che si può o non si può fare e su ciò che si può o non si può dire. Tutto galleggia in una pozza di ambiguità, non ci sono verità assolute.
La filosofia per i personaggi è solo teoria, nella vita quotidiana faticano a metterla in pratica.
Esiste una verità oggettiva? Affermare che non esiste una verità assoluta, non è forse un’affermazione di verità assoluta? Il soggettivismo della verità è la dottrina che afferma che la verità dipende dal soggetto che la pensa e percepisce, negando l’esistenza di una realtà oggettiva scevra dal soggetto. Ogni personaggio del film vive questi dubbi, lo fa tra le aule e i corridoi dell’università che appaiono come campi di battaglia o tribunali, lo fa dentro appartamenti alto borghesi (che sembrano gridare “cazzo, cosa siamo riusciti ad ottenere!”) e dentro altre dimore modeste che appaiono come la negazione delle proprie origini borghesi.
Guadagnino e la sceneggiatrice Nora Garrett pongono domande e non forniscono risposte, descrivono personaggi solo apparentemente forti. Intellettuali nè totalmente vincenti nè totalmente perdenti.
Uno scontro generazionale, sessuale, politico, filosofico, sociale e antropologico guidato con mano sicura dal regista tramite una regia ricca di primissimi piani e dettagli, e attraverso una soundtrack jazz, orchestrale ed elettronica. Guadagnino è viscontiano come in “Suspiria”, la cura che mette nella scelta degli arredi e dei costumi dei personaggi è maniacale, persino la collana con una lente d’ingrandimento come ciondolo indossata da Alma ha un significato. Il make up della Roberts è curatissimo quando all’inizio nulla può scalfirla, man mano che la sua vita va in frantumi la vediamo sempre più struccata e sofferente. Gli abiti della ragazza che accusa di molestie sessuali il professore sono simili a quelli di Alma, l’adulazione della ragazza per la donna è palese. Vorrebbe essere l’altra, come Jennifer Jason Leigh in “Inserzione pericolosa” di Barbet Schroeder.
Ogni singola disquisizione filosofica che troviamo nel film non è gratuita ma è la metafora di ciò che accade ai personaggi. Si parla di “Sorvegliare e punire: nascita della prigione moderna” di Foucault, dove si narra delle esecuzioni pubbliche usate in passato per far sì che il malfattore fosse un esempio per gli altri (Hank e Alma vengono giudicati non privatamente ma davanti a molte altre persone). Tutti sono osservati e giudicati come lo erano i carcerati imprigionati in una struttura architettonica che permetteva alle guardie di osservare costantemente i prigionieri, tale architettura era chiamata panopticon, anch’esso citato nel film. Geniale in tal senso la scelta di ambientare “After the hunt” dentro un’università. Luogo per eccellenza dove i professori detengono il potere e giudicano gli studenti. “After the hunt” ribalta tale consuetudine e mostra alunni che giudicano gli insegnanti.
Più che Woody Allen, citato solo superficialmente perché i titoli di testa del film sono identici ai suoi (Guadagnino già lo aveva fatto nel mediometraggio “The Staggering Girl”), “After the hunt” sembra guardare al Mike Nichols di “Closer”. Anche lì come nel film di Guadagnino si riflette in maniera implacabile e verbosa su menzogne e verità, sulla percezione soggettiva degli eventi, sull’impossibilità di essere completamente sinceri o totalmente bugiardi.

“Non si mente mai così tanto come prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia”
(Otto Von Bismark)

VOTO: 8.5

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