ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“SCOMODE VERITÀ” DI MIKE LEIGH

Anno di produzione: 2024
Con: Marianne Jean-Baptiste, Michele Austin

Germofobica, verbalmente violenta, rabbiosa, affetta da brutali emicranie, Pansy è depressa ed irascibile. Vive in una casa asettica nella periferia londinese. Ha un marito succube e un figlio pigro e svogliato. Passa le giornate pulendo casa, dormendo e insultando chiunque. La donna ha anche una sorella caratterialmente opposta a lei. Chantelle è gioviale, fa la parrucchiera e le clienti la adorano, ha due figlie affiatate. Ben presto scopriremo che Pansy non è riuscita a superare una serie di traumi generati dell’ormai defunta madre.
Dopo due film in costume, Mike Leigh torna ai giorni nostri e utilizza la macchina da presa come un dispositivo che registra la realtà. Tramite una messa in scena minimalista, invisibile, lascia libero sfogo a Marianne Jean-Baptiste e alla sua straordinaria interpretazione. La sceneggiatura è lineare e procede in maniera sin troppo schematica, alternando con eccessivo didascalismo le scene di vita delle due sorelle, a quelle in cui si incontrano e mai scontrano, non è un film di Bergman, purtroppo! Fortunatamente Leigh non è esplicativo nell’approfondire l’origine del malessere della protagonista che rimane qualcosa di oscuro, la depressione viene anche chiamata “il male oscuro”. “Scomode verità” ci mette davanti ad un essere umano e al suo totalizzante malessere. Riesce a raccontare un personaggio respingente, odioso, snervante. Inizialmente Pansy non provoca empatia negli spettatori, man mano che la narrazione procede però, e soprattutto dopo la sequenza al cimitero e quella del pranzo, la donna acquista umanità, Leigh la fa crollare, ma senza patetismo. Impressionante la lunga sequenza del pranzo per la festa della mamma costruita come fosse quella di un thriller. Una stanza claustrofobica, sei personaggi, il mutismo di Pansy, la cordialità delle figlie di Chantelle, l’arrendevolezza del marito e del figlio della protagonista, l’imbarazzo generale, Pansy ripresa in primissimo piano, prima inespressiva e poi sempre più triste, sino all’esplosione in un pianto deflagrante. Che gran pezzo di cinema e di recitazione!
Ancora figure femminili scomode per Leigh, donne complesse, mai banali.
Cinema vicino alla contraddittorietà della vita. Leigh è psicologico, non è come Loach (altro grande registratore del reale) che è interessato maggiormente alla dimensione civile-politica.
Come in “Segreti e bugie” le gesta dei personaggi sono odiose, ma al tempo stesso riescono a far sorridere nella loro schiettezza. Pansy che non ha fiducia nei medici e le visite a cui si sottopone sembrano scene di un film di Woody Allen, Pansy che fa body shaming ad una giovane cassiera di un supermercato, Pansy che umilia la commessa del negozio di arredamento… il suo agire è sgradevole ma c’è un pò di lei in ognuno di noi e questo può spaventare. La protagonista mette continuamente a nudo se stessa, chi la circonda e anche gli spettatori.
“Scomode verità” è un ghigno acido sulla vita, ma è anche e soprattutto un grido disperato di dolore e di bisogno di aiuto. Pansy non riesce a cambiare la sua vita, non ha il coraggio di farlo, non sempre la si può cambiare. Le condizioni psichiche delle persone possono essere una gabbia e la superficialità del mondo non aiuta. L’origine del male risiede quasi sempre lì, in quel nucleo sociale composto da più persone legate dal vincolo del sangue.
Che dolore!

VOTO: 6.5

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