ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“VERMIGLIO” DI MAURA DELPERO

Anno di produzione: 2023
Con: Tommaso Ragno, Sara Serraiocco, Carlotta Gamba

“Vermiglio” nasce da un sogno della regista. Quest’ultima ha sognato il padre all’età di sei anni nel periodo in cui viveva con la numerosa famiglia in un paese del Trentino.
La seconda guerra mondiale volge al termine, la vita di un nucleo famigliare viene scandita dallo scorrere delle quattro stagioni (didascalica la scelta di usare “Le quattro stagioni” di Vivaldi per sottolinearlo). A governare questa famiglia vi è la figura del padre, maestro del paese e colui che decide senza ostacoli il futuro della compagna e della prole.
Il fulcro narrativo principale del film è racchiuso proprio nella sua figura. Un uomo severo ma non cattivo, non violento fisicamente ma sottilmente e inesorabilmente brutale nell’imporre il suo volere, colto ma incapace di comprendere le diverse intelligenze dei figli. Intorno a lui orbitano altre figure maschili e soprattutto un manipolo di donne sottomesse.
La Delpero tramite una poetica intimista e antispettacolare, che azzera ogni forma allegorica e favolistica (per questo siamo lontani dal cinema della Rohrwacher, al quale è stato erroneamente accostato), ci catapulta in un piccolo mondo dove il femminino è schiacciato dal maschio. Le donne rappresentate non possono raggiungere un riscatto sociale, sono raggelate nei ruoli scelti da terzi. I loro corpi sono come il terreno fertile da coltivare per fargli generare frutti, la loro cultura è gestita da altri. Figure silenti, succubi dei dogmi religiosi, del senso del peccato e della punizione, della repressione sessuale e di quella che era la normale anormalità.
Marina Delpero è più documentarista che simbolista, non attua nessuna trasfigurazione fantastica, preferisce l’obiettività, il suo discorso è chiaro, non è filtrato da nessuna tipologia di “deformazione”. Attraverso queste pochissime scelte mette in atto un lieve ma anche feroce affresco sull’impossibilità della rivoluzione e sviscera una profonda analisi comportamentistica.
Cinema ipnotico che lentamente risucchia dentro gli spazi scenici, tra i tavoli in legno tarlato, tra i candelabri in argento, tra le pieghe degli abiti dei personaggi, tra la neve in inverno e tra l’acqua di una cascata in estate.
Dicotomico, sommesso e delicato, ma concettualmente non lontano da opere come “Dogtooth” e “Miss Violence”.
“Vermiglio” descrive la famiglia come un microcosmo nel quale si agitano tre tipi di comando e obbedienza: padre-figli, marito-moglie, padre-schiavi.

VOTO: 7

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