ZINEMA

RECENSIONI DI EMANUELE DE MARIA

“STRASBOURG 1518” DI JONATHAN GLAZER

Anno: 2020
Con: Kaori Ito, Germaine Acogny, Nazareth Panadero

“Come stai?” è la domanda più ricorrente che ci pongono e che poniamo in questi mesi di pandemia.
È anche il quesito che scandisce ossessivamente i primissimi minuti del cortometraggio di Jonathan Glazer.
La figura di una donna che balla da sola si staglia sulle pareti bianche di una stanza completamente vuota.
La donna ride, la sua è una risata isterica.
Da altre parti della città o forse del mondo, altra gente nella solitudine della propria casa, comincia a danzare come in preda ad una possessione demoniaca.
Nel frattempo una voce fuori campo chiede ad ognuno di loro: “Come stai?” e ancora: “Tutte le mattine quando mi sveglio per dieci secondi sono libero”.
Attraverso un montaggio alternato furoreggiante, una soundtrack di Mica Levi di stordente potenza, delle scenografie dalla razionalità asfissiante e soprattutto tramite le performance corporee di un manipolo di ballerini, il regista costruisce un lucido incubo avanguardista che si ispira alla piaga del ballo che colpì delle persone nel 1518 a Strasburgo.
Tutto ebbe inizio con la danza solitaria di una donna per le strade della città.
Dopo qualche giorno tantissime persone si unirono a lei e al ballo mortale. Mortale perché, dopo giorni interi passati a danzare, molti di loro morirono per infarto.
Sembra che la causa di tale avvenimento sia da ricercare nell’unione tra i tempi durissimi che i cittadini di Strasburgo vivevano in quel periodo (povertà, carestie, malattie) ed una potente e generalizzata superstizione.
“Strasbourg 1518” modernizza tale avvenimento storico aggiornandolo ai tempi del Covid 19 e del conseguente lockdown.
La danza nel corto di Glazer è come in “Climax” di Gaspar Noè un atto infernale: i danzatori gridano, ridono in maniera inquietante, compiono gesti ossessivi, i loro corpi subiscono quasi una disarticolazione degna di quella messa in scena da Isabelle Adjani nella sequenza della metropolitana in “Possession” di Andrzej Zulawski o di quella subita dal personaggio di Olga nel “Suspiria” di Guadagnino.
Il ballo è il mezzo attraverso il quale Glazer costruisce un flusso di immagini e suoni che creano un senso di disagio palpabile, una sofferenza penetrante che si fa l’allegoria di quella vissuta da molti durante i recenti lockdown.
Come tanti di noi, i danzatori rinchiusi nelle loro abitazioni vivono una profonda crisi esistenziale: collassano, cadono a terra, ma si rialzano e riprendono a muovere i loro corpi; non si arrendono all’isolamento coatto, portano il loro corpo al limite, esso diventa lo specchio della loro psiche.
La danza riflette la società, è un atto di resistenza, come una lotta tra il corpo e qualcosa di impalpabile che è il virus.
Glazer non fornisce risposte, non ci mostra chi alla fine vincerà tra l’uomo e il virus, ci lascia cadere in una pozza di sensoriale ambiguità.
” Strasbourg 1518″ sembra un girone infernale scritto da un Dante Alighieri sotto acido.

VOTO: 10

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *